venerdì 30 maggio 2014

Odore di bruciato

Il Guatemala è uno strano paese – ma immagino che tutti i paesi che non conosciamo ci sembrino strani.
In questi ultimi giorni quello che mi ha colpito di più è l’odore di bruciato: bruciano i campi, brucia la legna nelle cucine delle case che visito, c’è sempre odore di bruciato. Fa una certa tristezza passare di fianco a questi paesaggi mozzafiato e poi vedere ettari bruciare: si fa per poter coltivare, bruciano le foreste e la cenere nutre il terreno. E per kilometri ti rimane nel naso quest’odore di distruzione che ti affatica il respiro.
La maggior parte delle case cucina con il fuoco a legna, il che vuol dire un bel po’ di fumo. Ieri siamo arrivati nell’ennesimo villaggio sperduto e di nuovo c’era quell’odore di bruciato che ti pervade. A volte mentre faccio le interviste arriva una sbuffata di fumo: faccio il possibile per fare finta di niente, anche se vorrei tossire e coprirmi la bocca disperatamente. Martedì è stata una giornata infinita: il mio accompagnatore di turno è arrivato mezz’ora in ritardo (lui mi aspettava in ufficio, io l’aspettavo in albergo), con una gomma bucata. Se l’è fatta cambiare, ma mi sembrava evidente che la ruota di ricambio fosse vecchia e più piccola. Non un grande affare. Neanche a pensarlo, dopo 45 minuti di strada sterrata siamo arrivati nel villaggio e la gomma era a terra di nuovo. Abbiamo quindi camminato per il villaggio in cerca delle signore, e diciamo che il senso dell’orientamento non certo la forza di questo ragazzo. Nonostante l’orario e il problema della gomma, si è fermata a fare una formazione su come produrre detersivo. La formazione si svolge a casa di una delle signore, arrivano tutte le altre e un numero infinito di bambini curiosi. Ieri c’era anche un cucciolino che girava felice tra la gente. Non so come farò ad arrivare a fine periodo senza aver adottato almeno un cane. Poi il capacitatore spiega passo passo cosa usare, in che ordine, come mischiarli. È una gran caciara. Mi chiedo quante di loro continueranno a farlo. Torniamo alla macchina. C’è una ruota di scorta, anche se è già stata bucata e riparata una volta, dobbiamo solo sperare che regga. Il problema più grande è che non abbiamo il cric. Decidiamo quindi di usare dei ceppi, montandoci sopra con la ruota bucata e poi mettendo altri ceppi sotto la macchina per tenerla sollevata. Siamo l’attrazione del villaggio, circondati da bambini e anche qualche adulto curioso che sghignazza dalla distanza. Una volta che riusciamo a mettere la macchina in posizione, non riusciamo ad infilare la gomma: quella bucata era più piccola e ora la macchina non è abbastanza sollevata per potere infilare l’altra. Chiamiamo quindi gli sghignazzatori e li mettiamo a sollevare la macchina. Ogni tanto sento direi “Italia”, una delle poche parole che capisco in Qe’chi… Sono arrivata in albergo alle 20, ma tutto è bene ciò che finisce bene.

L’albergo in Raxruhà è molto carino, però il personale è un po’ – come dire – rincoglionito. Quando sono arrivata ho detto di avere la prenotazione: il ragazzo mi guarda imbambolato, dà un’occhiata a un foglio e mi dice che non ce l'ha, e si mette a fissarmi con aria bovina senza aggiungere una parola. Nel dubbio chiamo Rudy, che mi dice che aveva prenotato già il sabato. Il babbano allora controlla prima un’agenda, e poi un mini block notes dove trova la prenotazione. Bene. Mi dice che è più comodo pagare di giorno in giorno. Poi prende la chiave e fa per accompagnarmi alla camera, poi vede la mia valigia e si mette a chiamare l’addetto alle valige, che però non si sa dove fosse. In quella arrivano altri clienti e la mente brillante torna dietro il suo bancone a parlare con loro. Io rimango come una fessa con la chiave in mano senza sapere bene dove andare. Arrivano altre ragazze, presumibilmente dell’hotel, e si mettono anche loro a chiamare l’addetto, finché finalmente non cedono alla mia richiesta di portami da sola la valigia. La possibilità di accompagnarmi alla camera – o almeno dirmi dove fosse – e poi farmi portare la valigia non gli è neanche passata per la mente. Quando rientro la sera dopo, il bradipo mi guarda con faccia confusa e mi chiede quale è il mio nome e in che camera sto. E io che credevo che mi si riconoscesse qua in Guatemala. Ieri sera la più bella: rientro, gli sorrido e gli chiedo la chiave. Lui prima mi domanda in che stanza ero, poi mi chiede se avevo lasciato dentro le mie cose, come lo zaino o altre cose. Gli rispondo ovviamente di sì, dato che ci avrei dormito anche stasera. E lui perplesso mi richiede se ho lasciato dentro le mie cose e io più lentamente e scandendo bene le parole gli dico che sono in quella camera da due giorni e vado via domani, non oggi. L’espressione passa dal confuso al preoccupato ed esce dal suo bancone in cerca della cameriera perché pensa che abbiano già pulito la camera. Però non la trova, e più rilassato mi sorrido e mi dà la chiave. Quando arrivo in camera tutto è il suo posto, quindi suppongo che la cameriera sia un po’ più sveglia di lui.

Nel villaggio di ieri invece mi sono sentita il pifferaio magico. Siamo arrivati che probabilmente era ricreazione nella scuola, perché tutti i bambini erano in cortile. Passiamo là vicino e tutti (tutti) ci seguono, tipo 40-50 e forse più. Alcuni divertiti, altri con espressione attonita, altri molto poco convinti. Arrivati fuori dalla casa della signora che dovevo intervistare, mi si accalcano tutti intorno. Sono i momenti in cui da un lato sono divertita, dall’altra fortemente irritata. Per esempio quando poi siamo entrati e ci siamo seduti in casa, con tutti i bambini che bloccavano qualsiasi passaggio d’aria quando la temperatura è già sufficientemente alta… ecco, in questi momenti mi devo sforzare.
Mi ritrovo anche nella posizione di non capire niente di quello che si dicono i clienti e gli altri locali, di sentirli ridere mentre mi fissano, e io li guardo sorridendo, non sapendo bene che altro fare. Mangio e bevo tutto quello che mi danno, qualsiasi cosa sia. Il mio sistema immunitario sembra reggere tutto. Abituata a vivere in Europa, dove in una qualche lingua riesco sempre a comunicare, mi sento tagliata fuori e quasi impotente. Vorrei poterci parlare da sola, senza il traduttore, che inevitabilmente limita di molto la mia ricerca.

Muovendomi per il paese cerco di capire perché ci sia così tanta povertà. Insieme alle interviste sto conducendo un questionario che sia chiama PPI (Progress out of Poverty)  per valutare il livello di povertà dei clienti.  Praticamente tutti fino adesso risultano al di sotto della linea della povertà del Paese. In Guatemala c’è un disperato bisogno di capitale umano e infrastrutture. Solo le strade principali sono asfaltate, per raggiungere i villaggi ci vogliono ore – in macchina. Figurarsi a piedi. Non hanno acqua (utilizzano pozzi, fiumi o acqua piovana – e martedì ho dovuto usare una delle loro latrine….) e spesso neanche elettricità. Ci sono flotte di ong che cercano di fare la loro parte, facendo formazione di vario genere. Da quello che vedo, però, l’impatto è limitato. Alcuni sono più ricettivi, altri meno. Devo dire che fino adesso non ho avuto l’impressione di gente che sta male, che muore di fame. Quelli che ho visto io per adesso hanno tutti una casa in cui stare e qualcosa da mangiare (tortillas über alles), nonché figli a volontà. Non vorrei davvero tracciare il quadro dei poveri bambini africani che non hanno niente però sorridono. Parlando con quelli di Génesis, mi hanno detto che alla base c’è un grande problema culturale: molti non fanno differenza tra un investimento attivo (che produce) o passivo (consumo), così molti hanno venduto il proprio terreno per avere soldi subito, e ora lo devono affittare da altri. Ora con il mondiale alle porte c’è il rischio che la gente si venda chissà che per avere una tv. Qua tutti coltivano mais: si raccoglie ogni sei mesi, sanno come farlo, e fine della storia. Però il mais rende poco, e se il raccolto va male non si ha di che vivere per i prossimi mesi. Pochissimi investono in coltivi magari più cari e che richiedono più tempo ma che rendono molto di più (come il caffè). Con la crisi del cardamomo, molti si sono ritrovati con un pugno di mosche dopo anni di guadagni altissimi però bruciati. Da un lato si accontentano, dall’altro sanno che se va male in qualche modo si fa, anche tramite i programmi sociali. Pensano che siccome sono poveri devono essere aiutati, e questo pensavo sarebbe stato diverso con la microfinanza. Secondo il report della Banca Mondiale sulla povertà in Guatemala, uno dei motivi principali per la bassa scolarità è “mancanza di interesse”.
Con questo non voglio assolutamente dire che i guatemaltechi sono poveri perché se lo meritano, quasi il contrario: questo è spesso il risultato di una politica di sviluppo sbagliata, di un dare per dare senza una strategia sostenibile alle spalle. Qua, secondo il report, circa il 60% dell’economia è informale: questo vuol (anche) dire che il governo non raccoglie tasse, e quindi spende poco. La corruzione e la cattiva politica sono senz’altro ragioni altrettanto rilevanti. Per non parlare di 30 anni di guerra civile e abusi e mattanze... Molta campagna si gioca proprio sui “programmi sociali”: se si danno i soldi ai poveri, loro pensano che finalmente il governo li stia aiutando, mentre ci sarebbe bisogno di investimenti massivi in infrastrutture, in educazione, nello sviluppo di piccole-medie imprese che generino occupazione. Facendo 10 figli a famiglia, hai voglia a disboscare foreste per cercare terreni da coltivare. Per poi rimanere poveri comunque. La microfinanza mi sembra che li aiuti a rimanere dove sono, ma nessuno dei clienti che ho visto diventerà un piccolo imprenditore. Galleggiano.
Immagino anche che ci siano diversi accordi commerciali con il Guatemala che probabilmente potrebbero essere migliorati, ma onestamente non ne sono molto. Da un lato penso che la povertà in Europa sia molto più crudele e senza pietà: forse è più difficile ritrovarsi poveri, ma se resti senza niente, tornare a galla non è facile. Qui è una povertà di gruppo, di comunità, condivisa, non c’è il poveraccio che chiede l’elemosina e dorme per strada – per quanto ci sarà sicuramente nella capitale, io qua mi riferisco alla povertà rurale. È una povertà cronica che è difficile da eradicare, e di sicuro non si cambierà “regalando un vaccino a un bambino bisognoso”, per quanto il lavoro della cooperazione sia encomiabile, ma disperatemene a breve termine. Non toglie l'odore di bruciato.

Diluvia ed è saltata la luce. Scrivo a lume di candela e gli insetti notturni si accalcano sul mio schermo. Domani vado a vedere las Conchas, poi proseguo per Rio Dulce. Se riesco nel weekend vado a vedere Livingston.

Qua sotto i miei spostamenti fino adesso e i prossimi previsti. Dove andrò dopo, lo scoprirò solo col tempo…



domenica 25 maggio 2014

San Luis e Finca Ixobel

Sono alla Finca Ixobel, a rilassarmi dopo la prima settimana di lavoro sul campo. Il realtà il mio programma di passare la giornata a fare niente (se non guardare la partita) è stato cambiato all’ultimo momento con una gita alla grotta. Abbiamo camminato due ore in questi splendidi e solitari panorami e poi siamo entrati in questa grotta pazzesca. Torce alla mano, siamo entrati in acqua e siamo arrivati fino in fondo in mezzo a rapide e con tanto di salto di 4-5 metri nella corrente. Una di quelle cose che in Europa ti fanno fare con caschetto e salvagente: la nostra guida invece aveva solo una decina di candele, che lasciava accese lungo il cammino. Uno spettacole vederle illuminare la grotta. Ora sono stanca morta, ma ne è valsa davvero la pena.

 Questa settimana è andata bene. Sono arrivata a San Luis lunedì sera e martedì, mercoledì e giovedì sono andata a visitare i clienti di Génesis Empresarial. La prima, Doña Vilma, è la presidentessa del suo gruppo, che si chiama Las Mariposas (le farfalle). Quando sono arrivata alcune signore stavano imparando a cucire vestiti tipici e altre stavano imparando a scrivere. Mi hanno fatto vedere con orgogolio il loro orto con il caffè ricevuto da Génesis e le altre piante. Ha passato tutto il tempo a dirmi quanto sono grate a Génesis per i loro servizi, che le aiutano a sostenere le loro famiglie. “La povertà è il problema del Guatemala, se può ci mandi altri fondi, li useremo bene, ci impegnamo molto”. Un’altra signora è divertata dal fatto che non sia ancora sposata, un’altra mi dice che ha 15 figli. Al contrario di Doña Vilma, Doña Trinidad vive in una casa di legno con il tetto di foglie di palma, che però a quanto pare durano anche 30 anni. La casa è composta da due ambienti, la cucina e un’altra stanza per tutto il resto. Il pavimento è di terra. Butto un occhio dentro la stanza multiuso e con la coda dell’occhio vedo una televisione. Hanno accesso all’acqua grazie ad una sorta di pozzo/rubinetto tra le case.
Il giorno dopo passiamo due ore in macchina lungo una strada sterrata che sale e scende sulle colline, sembra di non arrivare mai. La maggior parte delle case sono di legno, ma ce n’è anche qualcuna di mattoni – o meglio cemento. Ogni tanto c’è una parabola di Claro, una delle compagnie telefoniche: non ho quasi mai perso il segnale sul telefono. I clienti di oggi sono Qe’chi, una delle famiglie dei Maya. Per trovare le case si domanda, i bambini mi fissano con aria curiosa, specie quando tiro fuori la macchina fotografica. Alcuni clienti hanno paura di dare la risposta sbagliata, anche se non esiste una risposta sbagliata, però sono sorridenti e divertite dai miei tentivi di ringraziare nella loro lingua. Non vedo molti pozzi, ma mi assicurano che ce ne sono. Rimango con l’incognita del bagno ma me la tengo per me. Il terzo giorno andiamo in un’altra comunità ancora, dove convivono indigeni e mestizos. La prima signora è chiaramente imbarazzata dalla mia presenza e dal fatto di avere difficoltà a rispondere alle mie domande, quindi taglio corto per evitarle il disagio. Un’altra mi chiede di parlarne in italiano e mi domanda come si chiamano i miei genitori. Qua tutte le case sono di cemento.






Sono riuscita a parlare con 9 persone fino adesso. Venerdì mi sono fermata tutto il giorno in ufficio e ho anche assistito ad un paio di consegne di credito, e anche la rinegoziazione di un credito non pagato. Per quest’ultimo la sala era piena di donne indigene con i bambini, che non hanno fatto che gridare e tirare cose dappertutto. Non sembrava che le signore ascoltassero davvero quello che veniva detto. Non sono riuscite a pagare perché il raccolto è andato male, quindi Génesis gli dà un altro anno di tempo.

Domani torno a Santa Elena, e poi proseguo lunedì per Raxuhà. Nel viaggio di lunedì ero in questo mini-bus con i vetri scuri (ovviamente), ma davanti all’autista c’era un’apertura a forma di cuore. Abbiamo incrociato una coppia in moto con un cane, che non sembrava felicissimo della situazione. Lunga la strada ho visto diversi “auto-hotel” e anche una casa di riposo per gli anziani.

Dopo Raxuhà e Chisec proseguo per Izabal. Poi torno a Cobàn. Logisticamente non è certo il giro più intelligente ma a quanto pare non si poteva fare altrimenti. Qua alla Finca ho conosciuto un po’ di viaggiatori, che mi hanno fatto sentire una mezza calzetta. Una è una ragazza svizzera, è in giro da quasi un anno. È partita da Vancuver, ha passato sei mesi in Alaska costruendo rifugi per animali, poi è arrivata in Messico ed è scesa in Guatemala. Avanti finchè ci sono soldi. La Finca ha anche un’area di campeggio, lei dorme su un’amaca all’aperto. Un’altra coppia di irlandasi sono in giro da 5 settimane e puntano ai 5 mesi. Anche loro Messico, poi Belize, Guatemala, Colombia e Argentina. Dormono nella stanza basica con bagno in comune. E io che pensavo che i miei 3 mesi in Guatemala fossero un’avventura.


L’altra mattina ho fatto colazione con il petto di pollo. Ormai non mi fa più paura niente.

lunedì 19 maggio 2014

Flores & dintorni

Partiamo dall’inizio: la stagione delle piogge è una bufala. Se questa è la stagione delle piogge, allora in Europa viviamo perennemente nella stagione delle tormente, e ha a Bruxelles direttamente in quella dei alluvioni. Qua stagione delle piogge significa che potenzialmente potrebbe piovere nel corse della giornata. Io tra ieri e oggi mi sono ustionata.

Il viaggio di venerdì alle fine è durato 11 ore. Partita alle 10, arrivata alle 21 e qualcosa. La corriera non era proprio l’ultimo modello, ma avevamo la televisione e la musica. Che fortuna. Abbiamo attraversato Guate così ho potuto dare un’ulteriore occhiata in giro, anche se non posso dire di aver visto qualcosa di diverso. Praticamente tutti gli edifici sono cubi di cemento a un piano, a volte due, a volte uno e mezzo: si vedono spuntare i pezzi di acciaio nella parte superiore ad aspettare un ipotetico sviluppo, è quasi simbolico… Tutto ciò che non è cemento è ferro o latta, come le porte. I muri sono sempre scrostati, e i negozi disegnano ci disegnano direttamente le insegne sopra. Alcune case sono completamente dipinte di pubblicità, per lo più di Tigo, la compagnia telefonica più grande. Su un altro muro compare una scritta “Solo el pueblo salva el pueblo”. Passiamo di fianco ad una via dove tutti i negozi vendono maschere e piñatas.  L’unico a colpirmi è una palazzo giallo ben tenuto, con il cortile pieno di scuola bus e una riproduzione di Cupido e Psiche davanti al cancello. Boh. Ai limiti della città sorge un bel residence, con tante casette carine tenute in ordine, molto all’americana. Su altri edifici ogni tanto compare la scritta che la proprietà non è in vendita, chissà perché.
Il bus è carico di autoctoni, sono probabilmente l’unica straniera, a parte forse un signore baffuto dall’aria confusa. Il portabagagli è stracarico di qualsiasi cosa. L’aria condizionata è sparata al massimo anche se il bus fa fatica ad arrivare in cima alle salite – certo sempre meglio che dover girare con i finestrini aperti… La televisione trasmette video musicali, l’unica musica è la baciata e dal fondo i ragazzi urlano di alzare il volume. Riconosco solo gli Aventura, la mia cultura in materia è limitata. Alla musica si sono alternati 5 film: Planet Terror, Survival of the dead, Salt (che però hanno interretto a metà, mannaggia), Io vi dichiaro marito e marito e Zohan – tutte le donne vengono al pettine. Quando attraversiamo i vari paesetti e rallentiamo per i dossi, i venditori ambulanti si avvicinano: offrono straio o gamberoni. Passiamo di fianco ad un edificio che ha solo pareti divisorie, tipo box: l’insegna dice scritta “Extrais – Auto hotel”, di fianco c’è disegnato Cupido.
Quando arrivo in stazione c’è il povero Rudy (di Génesis Empresarial) che mi aspetta. Due ore di attesa. Mi accompagna in albergo e mi dà appuntamento per le 8 del giorno dopo per andare a Tikal, alle rovine maya. L’albergo è molto carino, peccato per l’acqua calda… Ho anche scoperto che in Guatemala non si deve buttare la carta igienica nel water, ma nel cestino di fianco. Come ci sono arrivata? Alla stazione di servizio dove abbiamo fatto la sosta con l’autobus, bisognava pagare un quetzal (10 cent) per fare pipì. C’è una signora all’ingresso che ti dà il tuo pezzo di carta igienica. Due cose mi hanno fatto dedurre la corretta procedura: 1. il cestino era pieno di carta igienica, 2. lo scarico del water era scoperchiato e ho visto che dentro c’era pochissima acqua, quanto basta per cambiare quella è che fondo del water. Con i primi dubbi in testa ho googlato “carta igienica in Guatemala” e ho trovato che la maggior parte degli scarichi guatemaltechi non prevede la carta igienica. Ops.

Rudy è arrivato un po’ in ritardo, siamo passati al mercato di fianco l’hotel e abbiamo preso un po’ d’acqua e dei crackers per la giornata. Poi è passato uno di questi minibus e siamo saliti davanti. I minibus sono tipo dei pulmini, ad occhio dovrebbero tenere sulle 12 persone (4 file di sedili da 3), ma venerdì ne ho contate 22 più un bebè. Noi nel dubbio siamo saliti davanti. La porta dietro rimane spesso aperta, con il ragazetto che raccoglie i soldi che rimane appeso. Le fermate sono più o meno stabilite, ma altrimenti basta allargare il braccio e salire al volo. Sono di nuovo l’unica straniera: gli altri sono tutte persone che si spostano portando rifornimenti ai baretti lungo la strada o signore che vanno a vendere da mangiare o artigianato a Tikal. Tutto si carica sul tetto. Ci vuole circa un’ora e mezzo per arrivare e lungo la strada mi si spezza il cuore più o più volte: è pieno di cani, per lo più di strada, mentre altri hanno il collare. Tanti stanno semplicemente sdraiati, anche in mezzo alla strada. Con loro girellano maiali e maialini, capre, cavalli, galline e pulcini. L’unica cosa che mi dà sollievo è che non sembrano maltrattati dalla gente, anzi. Ho visto un bambino abbracciarne uno e tre canetti fare le feste a una dei nostri passeggeri quando siamo rientrati. Alcuni hanno comunque quello sguardo un po’ impaurito che ti spezza il cuore. C’è anche una cagnetta che gira qua fuori dall’albergo, con le mammelle un po’ allungate da cucciolata recente.
Una volta entrati nel parco naturale, ci sono continui cartelli che avvisano di andare piano per attraversamento animali. Si susseguono cartelli gialli con dentro sagome di animali: il primo sembra una pantera, poi c’è un serpente, poi qualcosa che non so, poi forse un tacchino e avanti così. Un ottimo segno.
Iniziamo a passaggiare e Rudy mi spiega tutte le piante che incontriamo, inclusa la Ceiba, l’albero nazionale. Ha studiato questo, mi racconta di ogni albero e pianta, che per me sono tutte uguali. Tikal è pazzesca, e per fortuna c’era anche poca gente. Nella gran plaza troviamo un sacco di pizotes, bestioline pacifiche che frugano in cerca di cibo abbandonato dai turisti. Delle ragazzine guatemalteche mi si avvicinano e mi chiedono se possono farsi una foto con me… mi sento come Stanilla in Egitto. Mentre ci spostiamo da una piramide all’altra chiacchero con Rudy. Mi chiede quanti anni ho e se pensavo di sposarmi. Saltando la parte della battaglia per i miei diritti civili, gli ho detto che prima vorrei avere qualche sicurezza in più, che se mi sposassi adesso non so neanche se potrei permettermi di offrire un giro di birra agli invitati. Lui ha 27 anni, ha due bimbe. Anzi, “solo” due mi ha detto: lui è il quinto di 7 fratelli. Prevede di lavorare altri 3 anni e poi vuole mettere su una sua impresa, una fattoria e farla crescere, farla diventare una piccola-media impresa e dare lavoro. Parliamo anche di politica di sviluppo e di politica europea, di Russia, Ucraina e ex Jugoslavia. Dal bosco ogni tanto arrivano dei ruggiti: sono le scimmie urlatrici. Ci sono le scimmie ragno. Un passo dopo l’altro, scalata dopo scalata, arriviamo in cima al tempio quarto che in confronto il lupo della spada della roccia era in forma. È il secondo tempio maya più alto che si conosca (60/70m): il primo si trova al Mirador, nord del Guetamala, ci vogliono 3 giorni di cammino per arrivarci. La vista è necessariamente mozzafiato: giungla e giungla e giungla, e la punta delle altre piramidi. Si potrebbe restare là per il resto del pomeriggio. Molti degli addetti al parco mi salutano, si presentano e vogliono farmi qualche domanda. Vendomi sola con Rudy, un locale, si incuriosiscono. Sono tutti gentilissimi e rispettosi. Mi chiedono se mi piace il loro Paese. Il signore in cima alla piramide ci racconta un po’ di storia di Tikal e facciamo due chiacchere.



Per tornare prendiamo lo stesso minibus, Rudy si addormenta. L’autobus si ferma nella stazione, che è a qualche isolato dal mio albergo. Rudy abita là vicino e prendiamo la sua moto. Primo giro in moto, molti a venire in teoria.
Nonostante la stanchezza da dopo gita, mi faccio una doccia fredda che mi riporta di botto agli anni di spogliatoio e vado a Flores, l’isoletta turistica davanti Santa Elena. Riesco quasi a perdermi (ed è più piccola del centro di Cortina) e chiedo agli unici turisti che vedo (anche le uniche persone). Alla fine smangiucchio delle tortillas da una bancarella e passeggio sul lungo lago, fino quando non si può più avanzare perché l’acqua ha straripato. Succede in questa fantomatica stagione delle piogge. Flores è proprio il tipico paesino di mare per fare la vacanza con gli amici. È pieno di bar con terrazza che in stagione devono essere pieni di americani. Alcuni menù e insegne sono anche in inglese. Per la prima volta ho visto delle (vecchissime) cartoline.
Stamattina mi sono guardata la premiazione della Juve (ci sono almeno 4 -5 canali di solo calcio) e poi sono tornata a Flores. Il lago è davvero bello. Dall’isola ho preso un barchino che mi ha portato sull’altra sponda, a San Miguel. Da là è iniziata la camminata della speranza verso el mirador (non quello di prima), un altro sito maya. In realtà tutto ciò che resta è una piramide interamente ricoperta di vegetazione, che potrebbe tranquillamente essere una collina. Si sale lungo dei gradini di cementi con un corrimano in legno, dove ti prendi una scheggia solo a guardarlo. In cima hanno costruito una torretta instabile, che si appoggia bisognosa ad un albero. La vista è splendida, consolazione della camminata sotto il caldo cocente con i pantoloni sbagliati.


Scesa dalla torretta sono andata in spiaggia. C’è abbastanza gente, due o tre gruppi, uno formato da una ventina di persone. Sono arrivata giusto per l’ora di pranzo, la spiaggia è attrazzata con panchi e tavole da picnic in legno, alcuni pericolanti pure questi. Le ragazze escono dall’acqua e vedo che sono praticamente vestite: o hanno un costume intero e poi shorts, o proprio maglietta e pantaloncini. Solo le bambine hanno solo il costume. L’acqua è bollente, di un bel colore sfumato dal fondo un po’ paludoso. I cestini sono i soliti bidoni in latta. Passo un paio d’ore a rilassarmi e a leggermi la guida e poi rientro verso Flores.


Mi fermo ad un campo di calcio dove c’è una partita vera e propria. Non so come facciano: il campo assolutamente irregolare, il pallone è evidentemente sgonfio dal rumore che fa e il caldo è comunque insopportabile. Però hanno tutti la divisa del Chelsea: una squadra ha quella da casa, una quella da trasferta. Roberto, un ragazzo sui 17 anni, mi invita a sedermi sugli spalti per un po’. A fine primo tempo mi avvio, e anche Antonio è contento che mi piaccia il suo Paese. Il barchino con cui rientro è carico di cibarie per una di quelle bancherelle dove ho mangiato la sera prima. Li aiuto a scaricare quando arriviamo a Flores, tornerei a salutarli stasera se non fosse che sono cotta. E poi alle tre mi sono fermata a mangiare al Pollo Campero, il fast food di qua, e mi sono mangiata un bel pollo fritto, quindi tanta fame non ce l’ho.




Domani si comincia a lavorare. Non ho capito bene il programma, però mi trovo con Rudy in ufficio e so che per la sera dormo a San Luis, dove faremo il lavoro sul campo. Ci siamo. Si comincia davvero.  E io che volevo studiare un po’ ho perso due ore a scrivere sul blog…

venerdì 16 maggio 2014

Un po' di foto

Il mio percorso
 Il mio ufficio
 I fatiscenti autobus rossi
 Gente in fila per il trasnmetro (destra), la torre del reformador e gli autobus rossi
Tipico negozietto di strada: sbarre, compagnie telefoniche e patatine
 Autobus in movimento e gente aggrappata
 Princess. Ho anche visto "Jesus vive" e "Jehova es mi guerrero"

Non so niente dell'albergo dove starò nei prossimi giorni. Spero solo di avere internet...

giovedì 15 maggio 2014

Más Guate

Oggi ho fatto un giro in centro di Guate, con Flor e Diana. No, non è molto diversa dalla zona sto io. No, non è una città tutta da visitare. In centro c’è il palazzo del governo, la cattedrale e l’enorme mercato sotterraneo. Un sacco di bancarelle (che vendono tutte le stesse cose, come sempre) e banchi di frutta (alcuna mai vista), poi una parte dove c’è anche da mangiare (15 l’almuerzooo [1,5€]). Altro particolare è che qua barano con le figurine: ogni singolo venditore (di qualsiasi cosa) e negozio (anche una gioielleria) vende gli album panini del Mondiale; in più, molti vendono non solo i pacchetti di figurine, ma la figurine singole!!!
L’attrazione che più merita è però la mapa en relieve, un’enorme cartina del Guatemala in rilievo, risalente a più di 100 fa, accuratezza del 99.99%. Il Guatemala è molto più montuoso di quanto non sembri… Mi ha fatto bene capire cosa mi aspetta venerdì. Alle 10 ho il bus per San Luis, nel Petén, la mia prima tappa, arrivo previsto ore 18. Mi fermo due settimane (almeno) e poi proseguo per la regione di Izabal (credo ad El Estor) e infine Alta Verapaz (credo a Cobàn). Per l’ultimo mese rientro ad Antigua e finisco il lavoro.

Stiamo preparando la lista dei clienti con cui andrò a parlare. Alcuni non parlano spagnolo, altri vivono ad ore di camminate nei sentieri, molti sono raggiungibili sono in moto.


Sarà un mese e mezzo interessante…

mercoledì 14 maggio 2014

Guate

Non credo che potrei mai fare l’abitudine a questi aerei che mi atterrano sopra la testa.
Ai miei occhi occidentali, Guate è una città strana; in realtà, immagino sia come tante altre città nei Paesi in via di sviluppo. Stamattina sono andata a lavoro con il bus (quello sicuro) ma sono appena rientrata a piedi, perché prendere l’autobus era praticamente impossibile, dato l’ammasso di gente in attesa. È questo che sconvolge sempre di queste città: l’incredibile ammasso di gente. Non c’è mai abbastanza posto. Gli autobus arrivano uno dietro l’altro ma ancora la fila non si muove. Le strade hanno 3,4,5 corsie e ancora le macchine si impilano. Qua tutte le macchine hanno i vetri scuri, tutti i vetri. Por culpa de los ladrones, mi ha detto Flor, la mia capa. Così non vedono chi e cosa c’è a bordo. Chi va in moto invece deve indossare un giubotto di quelli gialli o arancioni in cui è scritto in grande il numero di targa della moto. Sempre por los ladrones? Quegli autobus rossi poi, sembrano davvero una caricatura. Stracarichi, tossiscono come se stessero per perdere un pezzo ad ogni accellerata, ma sono quasi tutti decorati con pubblicità o affini. L’altro giorno ne ho visto uno che aveva il parabrezza a forma di simbolo di batman. Ah, il parabrezza è sempre oscurato (los ladrones?)… Quando respiro la loro scia di veleno, rifletto sul fatto che mi trovo ad un altitudine più elevata (1.500) di quella di Cortina.
Mi dicono tutti di non girare con l’iphone, che è pericoloso (sapete, los ladrones) ma qua TUTTI hanno l’iphone, e ovunque ci sono negozi di cellulari e persino il bugigattolo all’angolo vende schede e ricariche. Se c’è una televisione accessa dà per forza calcio, probabilmente la liga. I negozi sono aperti a tutti le ore. Le strade non hanno nomi, ma solo numeri all’americana: 13 calle, 5-51, zona 9.  L’acqua potabile non la chiamano acqua e basta, ma agua pura. Quieres agua pura? Specificano sempre. Il giorno che mi offriranno dell’agua e basta dovrò preoccuparmi.
Ricordiamoci che Guate è anche la città dov’è si è aperto un’enorme cratere nel 2010 (googlate Guatemala City sinkhole, se non vi ricordate).

E poi chiaramente c’è la microfinanza. Nel centro commeciale dove sono andata a prendere la mia sim, ho visto almeno cinque posti diversi che offrivano prestiti. Sui i pali della luce si vedono cartelli con solo scritto “Offriamo credito senza bisogno di garanzie. Chiamare 12345”.

Mi sono presa un mango già tagliato qua davanti all’albergo, per 50 cent. Poi ho preso una caraffa di agua pura dal distibutore dell’albergo e me lo laverò per bene prima di mangiarmelo. Il mio stomaco ancora regge nonostante l’esorbitante quantità di proteine che ingerisco ogni giorno. Oggi abbiamo pranzato in uno di quei posti in cui ti siedi e pensi “vabbè, speriamo bene, prima o poi dovrò stare male”. Un bel churrasco (carne grigliata), ovviamente accompagnata dagli immancabili fagioli e dal guacamole, e nachos come se piovessero. Poi a lato c’era un po’ d’insalatina che mi faceva gola, ma chissà se era stata lavata con l’agua pura o no… Incluso c’era anche da bere, anche se non ho idea di cosa fosse. Acqua (pura spero), con ghiaccio (e quello che fa sempre terrore, e ne mettono sempre una quantità americana) e poi qualcosa che lo rendeva dolce, forse litchi (anche detti l’uva del deserto). Per adesso sto bene, ma tranquilli, non vi avvertirò quando quel giorno arriverà… 

martedì 13 maggio 2014

Cronache guatemalteche

Eccoci qua. È iniziata la nuova avventura e quindi il blog merita di essere risvegliato.

Il viaggio è stato infinito: ho candidamente dormito da Bruxelles a Madrid, poi da Madrid a Guatamala (12 ore!!!) ho iniziato e finito un libro. L’aereo era uno di quelli vecchi con solo schermi centrali, avevo il posto sull’ala, un paio di posti più in là e di fianco una religiosa spagnola che cercava disperatemente di fare conversazione, tanto quanto io cercavo disperatamente di evitarlo (v. il libro).
La sera – ubriaca di stanchezza – ho fatto un breve giro in macchina con ragazzo guatemalteco.

Domenica mi sono svegliata alle 5 e sono rimasta a letto fino alle 6.30. Poi sono scesa a fare la colazione dei campioni: uova strapazzate, una specie di purè di fagioli e banane fritte. Per le 8.30 sono uscita alla ricerca di un autobus turistico che – secondo quanto avevo letto – avrebbe dovuto fare il giro della città, con tanto di cittadini volontari a raccontare la città. La premessa è che Città del Guatemala è una città pericolissima dove non bisogna girare da soli se non in certe zone in certi orari, quindi cercavo un modo di vedere la città senza rischiare la vita. Dopo aver girato circa un’ora e mezza, un poliziotto mi dice che si trattava solo di un servizio temporaneo che non esiste più. Per fortuna, tutte le domeniche c’è un’iniziativa che si chiama “Pasos y pedales”, per cui questa lunghissima avenida viene chiusa alle macchine ed invasa da gente che fa jogging (davvero troppi per il caldo che fa!), bambini, bici, cani, gente che balla e anche un tipo vestito da spiderman che offriva abbracci gratis (mi è stato d’aiuto dopo aver scoperto che l’ambito autobus non esisteva). Sono poi passata in un albergo a chiedere prezzi (perché quello in cui sono mi costa 31 euro a notte ed è relativamente lontano dall’ufficio) e poi in un ostello. Quando sono arrivata davanti all’ostello (a piedi, ovviamente), ho suonato disperatemente il campanello per un quarto d’ora senza risposta, al che – visto che mi rifiutavo di andarmene senza averlo visto dopo la camminata –  dal mio telefono italiano ho chiamato per vedere se c’era qualcuno (costo della chiamata: 5 euro) e mi ha risposto una signora dicendomi che stava rientrando e di aspettarla. Infine, ultima tappa della giornata, sono andata a cambiare i soldi e a comprarmi una sim guatemalteca, che per qualche ragione funziona solo nell’iphone (che secondo i soliti allarmismi non dovrei portarmi dietro) e non nei miei telefoni da pochi euro. Misteri. Prima di rientrare mi sono decisa a sedermi in un bar a mangiare qualcosa – e devo dire che mangiare da sola è la cosa che più mi fa tristezza del viaggiare in solitaria. Alle 15 ero di nuovo in albergo e là sono rimasta finchè non sono crollata alle 21.

Stamattina mi sono svegliata alle 3.45 e poi di nuovo alle 6. Alle 7 ero a fare la mia colazione dei campioni, accompagnata oggi anche da una sorta di pudding. Alle 7.50 è venuta a prendermi Flor, la mia referente a Génesis Empresarial. La giornata è stata piena, ho parlato con diverse persone e mi è presa una paralisi a forza di sorridere a tutti, specie quando non capisco cosa mi dicono o incrocio una persona che non conosco e non capisco se devo presentarmi o no. In più qua per presentarsi si danno un bacio sulla guancia e si abbracciano, a parte i più formali che ti danno la mano. La good news della giornata è che dovrei andare “al campo” già sabato, quindi non credo che cambierò albergo (anche se vuol dire altri 5 giorni di colazione dei campioni). Nelle zone rurali, dove vado a parlare con gli agricoltori locali, dovrebbero essere più tranquille e più economiche. Génesis mi organizza trasporto e alloggio, però mi hanno già avvisato che dovrò andare in giro in moto, perché non ci sono molti altri mezzi di trasporto. E domani mi fanno avere le camicie con il logo… Sono tutti molto carini e mi hanno anche detto che mi organizzano tutti i giri turistici che voglio. Quando torno dalle regioni vado ad Antigua, la vecchia capitale, che è carina e tranquilla, per fortuna.

Sono molto curiosa di vedere le zone rurali. La capitale, per quel poco che ho visto, è sporca, pericolosa e priva di particolare fascino. Certo, io sto in quella che chiamano la “zona viva”, la zona più sicura, dove ci sono gli alberghi migliori. Immagino che il centro storico sia più interessante, però da sola intanto non ci posso andare – ma non ho molte aspettative. Un’altra cosa pazzesca è che siamo veramente di fianco all’aeroporto, quindi il rumore è continuato e fa anche una certa impressione vedere l’aereo scendere tra i palazzi. Quando sono atterrata sabato sera c’erano persone che parcheggiavano apposta a bordo strada per guardare gli aerei atterrare e decollare. Domani vado a lavoro in autobus – con quelli sicuri: le fermate sono rialzate, così come le porte dell’autobus, per salire bisogna comprare il biglietto sulla piattaforma (fermata), ognuna delle quali è perennemente presidiata da un poliziotto. Quelli non sicuri sono fatiscenti autobus rossi, che hanno la forma di scuola bus americani, fanno un rumore assordante, lasciano una scia di fumo e la gente rimane appesa alle porte. Davanti ad ogni bar, hotel, negozio c’è una guardia. Stasera, che sono rientrata più tardi delle altre sere (ore 18.30) oltre alla solita guardia, ce n’era un’altra con un fucile a pompa. Sarei curiosa di sapere quanto lavoro dà questo stato d’insicurezza cronico…


Prevedo un sacco di duro lavoro ma esperienze di vita vera – e dopo due anni nella noiosa Bruxelles, ci voleva proprio.