mercoledì 5 settembre 2018

Fascino e spazzatura

Sono tornata dal mio viaggio ormai da qualche giorno, ma stando tutto il giorno il rifugio resta poco tempo per dedicarsi alla scrittura. E probabilmente anche alla riflessione.

I quattro giorni fuori da Udaipur hanno confermato il mio pensiero: sono incapace di viaggiare da sola. O meglio - sono incapace di godermi il viaggio da sola. Mi sembra che tutto sia meno bello, che tutto sia meno interessante, e il tempo mi sembra passare più lento. Invece di essere più incline a conoscere altra gente, mi sento ancora più in diritto di starmene per le mie. Anche se in India è tutto relativo.

In India, ovunque, c'è tanta gente. Tantissima gente ovunque, sempre. Le strade sono sempre un delirio, i mezzi di trasporto sempre sovraccarichi. E non c'è alcun senso della distanza, dello spazio personale: non è maleducazione, è semplicemente un concetto che non esiste. Se sull'autobus o sul treno (in classi alte) hai la tua prenotazione col posto numerato, sei relativamente tranquillo. Gli altri, invece, si ammassano: in piedi, seduti, sdraiati, non importa. C'è sempre posto! La stazione dei treni pare un formicaio, con treni che arrivano e partono anche a notte fonda. Il mio treno è arrivato con più di 3 ore di ritardo, in totale copre una tratta di oltre 30 ore. In stazione mi fissavano tutti, con quell'aria a volte sorpresa, a volte curiosa, a volte semplicemente ebete, e per un attimo ti chiedi se per caso non hai una tetta di fuori. Invece tutti i vestiti sono al loro posto, e quindi passi da un sorriso abbozzato al fissarti i piedi facendo finta di nulla. Poi arriva il treno, e tutti corrono in cerca del vagone giusto o di uno spazio libero.

L'altra cosa che fa impressione è la spazzatura. Qua è normale buttare le cose in terra, per strada, o aprire la porta di casa e buttare tutto fuori. Poi passa qualcuno che pulisce, ma intanto tutto vola ovunque e ci sono zone dove i rifiuti semplicemente si accumolano e basta. E quindi gli odori, considerando anche che le città indiane hanno le fogne a cielo aperto, e quindi si vedono semplicemente questi rivoli di acqua putrida scorrere tra le case e i marciapiedi. I cani ci si stendono dentro quando fa troppo caldo. Passano la giornata a pulire e sporcare, un sistema assurdo che dà lavoro ai più poveri dei poveri.

L'India poi fa bene per l'autostima: sono tutti interessati a te, vogliono farsi anche le selfie (arrivano proprio chiedendo "selfie?"). A Jaiselmer ho conosciuto questo indiano che parla italiano (e francese e spagnolo, oltre all'inglese, e sa pure anche un po' di tedesco e olandese): gentile, mi ha accompagnato in giro per la città senza volere una lira, giusto per fare due chiacchiere. Poi però mi ha raccontato che anche se è sposato con figli con una ragazza molto più giovane, ha avuto tante storie con tante turiste.
Quindi alla fine ti chiedi sempre: perchè lo fanno? Per semplice gentilezza? Per farsi vedere dagli altri? Perchè sotto sotto sperano in qualcosa di più? Perchè sperano di farti comprare cose? Per semplice abitudine?
Non lo so, ma sto iniziando a sviluppare un minimo sesto senso per distinguere tra quelli proprio opportunisti e fastidiosi (ovvero, nessun valore aggiunto) e quelli innocui, con cui puoi fermarti a parlare. Cercando di andare a salutare il mio nuovo amico mi sono ritrovata in una camera di albergo con tre ragazzi che scherzavano su quanto ci avrebbe messo uno di loro a conquistarmi. Neanche per mezzo secondo mi sono sentita a disagio o in pericolo. Non so se mi sarei messa in una situazione simile in Europa o in altri posti.

Ciò non toglie che questa curiosità - se così possiamo definirla - verso gli stranieri, soprattutto le donne straniere, è inevitabilmente fastidiosa, e dopo l'ennesimo "Namaste, where are you from?" ti viene solo voglia di rispondergli citando sua mamma.

Mi restano 10 giorni in rifugio, poi mi obbligo a fare tappa in qualche altro posto prima di prendere il volo da Delhi.

Sento già il cuore che si spezza,

venerdì 24 agosto 2018

Normalità e comfort zone

Sono in India da tre settimane, e mi sembra di non avere niente da dire. 

Prima di partire ero convinta che l’India mi avrebbe stravolto, che non sarei stata capace di restarci per i due mesi del visto. Ero certa che sarebbe stata “troppo”: troppo casino, troppo sporca, troppo sofferenza. D’altronde, per quanto l’India sia sempre stata sulla mia lista di posti da vedere, non era certo in cima, nè mi sono mai interessata all’aspetto yoga e meditazione, per cui la stragrande maggioranza dei turisti è qua.
Invece non mi fa quasi nessun effetto, nel senso che mi sembra tutto così normale. Mi sono ambientata nel giro di qualche giorno: la magnifica terrazza della guest house, il ristorante all’angolo, il fruttivendolo, il negozietto sotto casa, un numero crescente di persone che vedo ogni giorno e che sono ormai personaggi ricorrenti delle mie giornate. La mia cameretta al primo sguardo mi sembrava spoglia e triste, ma è subito diventata il mio spartano angolo di pace, senza neanche un armadio o una mensola, ma da cui posso vedere l’alba da una finestra e il tramonto dall’altra. Ho girellato un minimo la città, e vado tutti i giorni al rifugio costeggiando il lago. È già routine. Persino le mucche, che nel tragitto aeroporto-albergo mi sembrano tante-troppe-ovunque!, sono subito diventate parte della normalità. Non capisco se ho ottime capacità di adattamento o se sono diventata insensibile all’ambiente esterno. Non c’è stato alcuno shock: stanchezza del primo giorno a parte, per il resto è stato tutto molto naturale. E lo dico quasi con malinconia: in altre situazioni – in Guatemala in primis – mi sembrava tutto una scoperta e sentivo il bisogno di raccontare tutto.

Ci ho riflettuto un po’ e ci sono sicuramente diversi fattori che spiegano la situazione, per lo meno due: 1. Udaipur è – a sentire tutti – una delle città più belle, tranquille e pulite dell’India; 2. Ho iniziato il volontariato subito, e quindi sono entrata immediatamente in un network di svago e sostegno. E appunto, di routine: sveglia, lavoro, casa, cena, letto. Anche in Guatemala, una volta terminato il periodo itinerante, tutto è diventato normalità. Immagino, quindi, che se fossi in altre zone dell’India viaggiando da sola sarebbe diverso.

Per questo non avevo ancora scritto niente, mi sembra di non avere niente da raccontare. E non ancora riesco a capire se è un bene o un male.


Comunque sia - tutto bene. Lavorare ad Animal Aid mi piace, anche se alcuni giorni mi lascia addosso un senso di frustrazione famigliare, che sembra seguirmi a migliaia di kilometri di distanza. Sembra di fare tanto, ma rimane quell'amaro di poter fare di più, di poter fare meglio.

Visto che in 3 settimane ho preso solo 2 giorni di vacanza, mi sono obbligata a fare un mini giro turistico di 4 giorni, per cui domenica prendo il bus e torno venerdì all'alba. Mi rendo conto che non sono per niente un solo traveller: se sono da sola non ho nessuna voglia di andare in giro. Però lo scopo di questi 3 mesi è anche spingersi fuori dalla comfort zone: siccome ci sono rientrata dopo un giorno di India, è bene che mi ci rispinga fuori. Quindi 6 ore di bus, letto in camerata, e sono sicura che quando rientrerò la mia piccola camera spartana mi sembrerà ancora più bella.

Ah, il 22 settembre parto per lo Sri Lanka fino al 16 ottobre, quando vado Bangkok. Vediamo se mi smuovo un po'.

giovedì 31 maggio 2018

Nuove avventure

Udaipur, 1 Agosto 2018 - Bangkok, 15 Novembre 2018