Sono a El Estor, sempre sul lago di Izabal. Alloggio in un
altro hotel ecologico, ovvero un hotel immerso nella foresta, con tanto di
scimmie (urlatrici), uccelli vari, iguane e anche un alligatore. Molto pacifico, i proprietari sono simpatici e c’è un po’ di tranquillità rispetto
agli alberghi precedenti, dove i rumori della città sono praticamente
incessanti. Ho passato il weekend a studiare e rilassarmi… e poi è anche
uscita la seconda serie di Orange is the new black (ma quanto irresponsabile può
essere rilasciare un’intera stagione lo stesso giorno?!).
Venerdì sono andata a visitare alcuni clienti che vivono in
cima a una montagna – letteralmente. La strada sale improvvisamente dal piano,
e sale praticamente in verticale. La moto fa fatica (il pilota pure….) ma ce la
si fa. Dopo il primo quarto d’ora scolliniamo e la vista è mozzafiato. Poi ci
si riaddentra nella foresta e si ricomincia a salire. L’aria diventa più fresca
di minuto in minuto, la foschia avvolge la cima della montagna. Il terreno è
inizialmente lastra di cemento, poi sassi, poi terra – una terra più rossa e
argillosa di quella degli altri posti che ho visto. Ogni tanto riappaiono
tratti di cemento, chissà per quale logica. Arrivati quasi in cima, quando la
strada inizia a tornare pianeggiante, scorgo un quetzal, il coloratissimo
uccello nazionale, su un ramo. È il primo che vedo.
Mi fermo qua fino giovedì, poi vado in quel di Tactic, in
Alta Verapaz, per le ultime due settimane di ricerca. Cerco di andare la
mattina così per le 14 sono a vedere Brasile – Croazia.
Sabato scorso sono andata a Livingston, la città situata
alla foce di Rio Dulce, sull’atlantico. “I caraibi che non ti aspetti”, dice lo
slogan della città. Beh, di caraibico Livingston ha gli abitanti, i garìfuna,
discendenti degli schiavi africani e arrivati sulle coste del Guatemala proprio
dalle isole caraibiche. Sono neri e in giro si sente molto Bob Marley. Parlano
una lingua che è un misto di inglese, spagnolo, creole, francese e chissà
cos’altro. Alla fine si capisce poco anche quando parlano in inglese, o in
spagnolo o in francese. Il mare, ahi loro, non ha molto di caraibico,
probabilmente per correnti sfavorevoli. Il Belize a quanto pare è un posto da
urlo, e la povera Livingston, qualche km più a sud, invece non ha molto da sfoggiare. Sono rimasta
solo un paio d’ore, quindi non posso aggiungere molto altro. Magari la sera è
un posto divertente. Per arrivarci, ho fatto due ore di barchino lungo il Rio
Dulce. In molti vivono lungo le acque, alcuni in semplici capanne, altri –
specie a inizio e fino del fiume – in vere e proprie ville con tanto di
attracco per l’eventuale barca del caso. Ho letto da qualche parte che il lago
di Izabal e Rio dulce sono attracchi sicuri nell’area caraibica anche durante
la stagione della piogge, quindi deduco che molti (ricchi) le usino come punto
di appoggio.
È già un mese che sono qua, e inizio a sentirlo. Con la
ricerca va così e così, mi sembra di non riuscire davvero ad ottenere risposte
alla mie domande, e devo capire se sbaglio a fare le domande o a capire le
risposte. Immagino sia normale visto che è la mia prima volta, ma ho un po’
d’ansia di sprecare settimane sul campo e tornare a casa con nulla di buono su
cui lavorare. Anche per questo mi sono presa il weekend per fare il punto della
situazione.
Oltre alla ricerca, inizio ad essere stufa della valigia,
degli alberghi, dello spostarmi ogni 3-4-5 giorni annullando la possibilità di
conoscere qualcuno. Certo, i ragazzi con cui lavoro sono (quasi) sempre
simpatici e ben disponibili, a volte curiosi (“Ah Belgio, Italia… Quindi tu
vieni da, come si chiama là dove ci sono Spagna, Italia…?” “Europa?” “sì,
Europa!!”), ma non si va molto oltre. C’è anche chi divente insistente, e
allora là proprio NON si va oltre. Da un lato poi, dopo una giornata passata in
mezzo alla gente (letteralmente) sono molto contenta di starmene in camera da
sola. I pasti sono quasi sempre il momento peggiore, dover andare a mangiare da
soli. Se non fosse perché ne ho bisogno, a volte non mangiarei. Qua in hotel,
per esempio, va ancora bene perché alla fine è intimo e si fanno due chiacchere
volendo (anche se i prezzi sono il doppio rispetto a fuori), ma dovessi uscire
per cercare un posto dove mangiare da sola…. Non ne ho proprio voglia.
Non voglio davvero, come già sottolineato, fare un ritratto
sbagliato del Guatemala. Ripeto, fino adesso mai mi sono sentita in pericolo o
mai mi è mancato nulla di fondamentale. Alloggio in hotel con il mio bagno e
tutto ciò di cui ho bisogno, posso comprare tutto il necessario in normalissimi
negozi ed è pieno di farmacie. Non mi manca tutto ciò che è primario. Ed è
anche un posto bellissimo, pieno di storia e natura. Di nuovo, in questi paesi il problema grande è la politica, locale e di sviluppo. È il classico caso di
volere è potere. D’altronde, questo si potrebbe dire per qualsiasi cosa
riguardi l’essere umano… Arriviamo su Marte però metà del pianeta muore di
fame?
Venerdì mentre pranzavo (da sola) ho sfogliato il giornale.
Le prime 5-6 pagine parlano solo di omicidi, per lo più regolamenti conti nella
periferia della capitale. Alcuni risultati di risse tra ubriachi. Il giornale
riporta i commenti di gente comune, come quelli qua sotto. Se ne deduce che la
colpa della violenza è del governo che non fa abbastanza. Secondo la ragazza, è
il compimento di ciò che è scritto nella Bibbia. Però c’era anche un trafiletto
sul calcio femminile!! In ogni caso, questo la dice lunga sulla politica in
Guatemala: il partito Lider, per esempio, punta tutto sulla pena di morte e i
programmi sociali.
Stando qua mi sembra di essere tornata indietro 8-10 anni
nella mia vita: giovane donna insicura e nell’armadio. Attiro inevitabilmente
sguardi, divertiti o indiscreti. La grande maggioranza dei guatemaltechi è gentile
e molto aperta, ma non mancano le donne che ti squadrano in maniera maliziosa o
i ragazzi che ridono e ti gridano “hello, good morning” in un inglese stentato
(qui sei automaticamente americano – un gringo, se non sei un locale). E
ovviamente, onde evitare qualsiasi questione, quando arriva la classica domanda, racconto che a casa ho il “ragazzo”. Bum – salto indietro.
Mi manca la mia libertà europea di poter essere chi sono,
senza paura. Qui non vedo libertà di scelta, sembra essere la vita a decidere
per te, per limiti economici o culturali che siano. A volte in Europa non ci
rendiamo conto di dove siamo arrivati, di quante conquiste, quanti traguardi
abbiamo raggiunto. Non siamo certo i migliori, non siamo per forza un modello,
non dobbiamo mica esportare democrazia. Ma io sinceramente sono contenta di
quello che abbiamo, e spero di continuare per quella strada, e di non tornare
indietro.
Qua guardo le mie coetanee e mi chiedo se siano felici, con
i loro 5 figli e la loro casa di terra e legno. Che cos’è che importa, alla
fine? Come si definisce chi sta meglio e chi sta peggio? In base a chi vive più
a lungo? A chi mangia meglio? A chi sorride di più? Magari fosse nata qua avrei
anch’io il mio marito agricoltore e una schiera di bambini da accudire, e non
mi farei tante domande. Sarebbe per forza un male? Dobbiamo davvero salvare qualcuno? Noi, gli sviluppati, che cosa (e perché) dobbiamo promuovere?
Non lo so, faccio fatica a darmi delle risposte. Faccio
fatica a capire quale sia la strada giusta e soprattutto perché una strada può
essere giusta e l’altra no. Per chiarezza, non voglio dire che noi siamo più
avanti lunga lo strada, e che i paesi in via di sviluppo (ma quando diventano “sviluppati”?)
siano dietro di noi, perché potrebbero (dovrebbero?) essere su un’altra strada –
la loro strada.
Forse è il caso che torni alla mia ricerca, prima di
confondermi ancora di più le idee. Giuro che Orange is the new black lo guardo
in pausa pranzo.
Questa è la mia foto preferita del viaggio, fino adesso.
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