Il Guatemala è uno strano paese – ma immagino che tutti i
paesi che non conosciamo ci sembrino strani.
In questi ultimi giorni quello che mi ha colpito di più è
l’odore di bruciato: bruciano i campi, brucia la legna nelle cucine delle case
che visito, c’è sempre odore di bruciato. Fa una certa tristezza passare di
fianco a questi paesaggi mozzafiato e poi vedere ettari bruciare: si fa per
poter coltivare, bruciano le foreste e la cenere nutre il terreno. E per
kilometri ti rimane nel naso quest’odore di distruzione che ti affatica il
respiro.
La maggior parte delle case cucina con il fuoco a legna, il
che vuol dire un bel po’ di fumo. Ieri siamo arrivati nell’ennesimo villaggio
sperduto e di nuovo c’era quell’odore di bruciato che ti pervade. A volte mentre faccio le interviste arriva una sbuffata di fumo: faccio il possibile
per fare finta di niente, anche se vorrei tossire e coprirmi la bocca
disperatamente. Martedì è stata una giornata infinita: il mio accompagnatore di
turno è arrivato mezz’ora in ritardo (lui mi aspettava in ufficio, io
l’aspettavo in albergo), con una gomma bucata. Se l’è fatta cambiare, ma mi
sembrava evidente che la ruota di ricambio fosse vecchia e più piccola. Non un grande
affare. Neanche a pensarlo, dopo 45 minuti di strada sterrata siamo arrivati
nel villaggio e la gomma era a terra di nuovo. Abbiamo quindi camminato per il
villaggio in cerca delle signore, e diciamo che il senso dell’orientamento non
certo la forza di questo ragazzo. Nonostante l’orario e il problema della
gomma, si è fermata a fare una formazione su come produrre detersivo. La
formazione si svolge a casa di una delle signore, arrivano tutte le altre e un
numero infinito di bambini curiosi. Ieri c’era anche un cucciolino che girava
felice tra la gente. Non so come farò ad arrivare a fine periodo senza aver
adottato almeno un cane. Poi il capacitatore spiega passo passo cosa usare, in
che ordine, come mischiarli. È una gran caciara. Mi chiedo quante di loro
continueranno a farlo. Torniamo alla macchina. C’è una ruota di scorta, anche
se è già stata bucata e riparata una volta, dobbiamo solo sperare che regga. Il
problema più grande è che non abbiamo il cric. Decidiamo quindi di usare dei ceppi,
montandoci sopra con la ruota bucata e poi mettendo altri ceppi sotto la
macchina per tenerla sollevata. Siamo l’attrazione del villaggio, circondati da
bambini e anche qualche adulto curioso che sghignazza dalla distanza. Una volta
che riusciamo a mettere la macchina in posizione, non riusciamo ad infilare la
gomma: quella bucata era più piccola e ora la macchina non è abbastanza
sollevata per potere infilare l’altra. Chiamiamo quindi gli sghignazzatori e li
mettiamo a sollevare la macchina. Ogni tanto sento direi “Italia”, una delle
poche parole che capisco in Qe’chi… Sono arrivata in albergo alle 20, ma tutto
è bene ciò che finisce bene.
L’albergo in Raxruhà è molto carino, però il personale è un
po’ – come dire – rincoglionito. Quando sono arrivata ho detto di avere la
prenotazione: il ragazzo mi guarda imbambolato, dà un’occhiata a un foglio e mi
dice che non ce l'ha, e si mette a fissarmi con aria bovina senza aggiungere
una parola. Nel dubbio chiamo Rudy, che mi dice che aveva prenotato già il
sabato. Il babbano allora controlla prima un’agenda, e poi un mini block notes
dove trova la prenotazione. Bene. Mi dice che è più comodo pagare di giorno in
giorno. Poi prende la chiave e fa per accompagnarmi alla camera, poi vede la
mia valigia e si mette a chiamare l’addetto alle valige, che però non si sa
dove fosse. In quella arrivano altri clienti e la mente brillante torna dietro
il suo bancone a parlare con loro. Io rimango come una fessa con la chiave in
mano senza sapere bene dove andare. Arrivano altre ragazze, presumibilmente
dell’hotel, e si mettono anche loro a chiamare l’addetto, finché finalmente non
cedono alla mia richiesta di portami da sola la valigia. La possibilità di
accompagnarmi alla camera – o almeno dirmi dove fosse – e poi farmi portare la valigia non gli è neanche passata per la
mente. Quando rientro la sera dopo, il bradipo mi guarda con faccia confusa e
mi chiede quale è il mio nome e in che camera sto. E io che credevo che mi si
riconoscesse qua in Guatemala. Ieri sera la più bella: rientro, gli sorrido e
gli chiedo la chiave. Lui prima mi domanda in che stanza ero, poi mi chiede se
avevo lasciato dentro le mie cose, come lo zaino o altre cose. Gli rispondo
ovviamente di sì, dato che ci avrei dormito anche stasera. E lui perplesso mi
richiede se ho lasciato dentro le mie cose e io più lentamente e scandendo bene
le parole gli dico che sono in quella camera da due giorni e vado via domani,
non oggi. L’espressione passa dal confuso al preoccupato ed esce dal suo
bancone in cerca della cameriera perché pensa che abbiano già pulito la camera.
Però non la trova, e più rilassato mi sorrido e mi dà la chiave. Quando arrivo
in camera tutto è il suo posto, quindi suppongo che la cameriera sia un po’ più
sveglia di lui.
Nel villaggio di ieri invece mi sono sentita il pifferaio
magico. Siamo arrivati che probabilmente era ricreazione nella scuola, perché
tutti i bambini erano in cortile. Passiamo là vicino e tutti (tutti) ci
seguono, tipo 40-50 e forse più. Alcuni divertiti, altri con espressione
attonita, altri molto poco convinti. Arrivati fuori dalla casa della signora
che dovevo intervistare, mi si accalcano tutti intorno. Sono i momenti in cui
da un lato sono divertita, dall’altra fortemente irritata. Per esempio quando
poi siamo entrati e ci siamo seduti in casa, con tutti i bambini che bloccavano
qualsiasi passaggio d’aria quando la temperatura è già sufficientemente alta…
ecco, in questi momenti mi devo sforzare.
Mi ritrovo anche nella posizione di non capire niente di
quello che si dicono i clienti e gli altri locali, di sentirli ridere mentre mi
fissano, e io li guardo sorridendo, non sapendo bene che altro fare. Mangio e
bevo tutto quello che mi danno, qualsiasi cosa sia. Il mio sistema immunitario
sembra reggere tutto. Abituata a vivere in Europa, dove in una qualche lingua
riesco sempre a comunicare, mi sento tagliata fuori e quasi impotente. Vorrei
poterci parlare da sola, senza il traduttore, che inevitabilmente limita di
molto la mia ricerca.
Muovendomi per il paese cerco di capire perché ci sia così
tanta povertà. Insieme alle interviste sto conducendo un questionario che sia
chiama PPI (Progress out of Poverty) per
valutare il livello di povertà dei clienti. Praticamente tutti fino adesso risultano al di
sotto della linea della povertà del Paese. In Guatemala c’è un disperato
bisogno di capitale umano e infrastrutture. Solo le strade principali sono
asfaltate, per raggiungere i villaggi ci vogliono ore – in macchina. Figurarsi
a piedi. Non hanno acqua (utilizzano pozzi, fiumi o acqua piovana – e martedì
ho dovuto usare una delle loro latrine….) e spesso neanche elettricità. Ci sono
flotte di ong che cercano di fare la loro parte, facendo formazione di vario
genere. Da quello che vedo, però, l’impatto è limitato. Alcuni sono più
ricettivi, altri meno. Devo dire che fino adesso non ho avuto l’impressione di
gente che sta male, che muore di fame. Quelli che ho visto io per adesso hanno
tutti una casa in cui stare e qualcosa da mangiare (tortillas über alles),
nonché figli a volontà. Non vorrei davvero tracciare il quadro dei poveri
bambini africani che non hanno niente però sorridono. Parlando con quelli di
Génesis, mi hanno detto che alla base c’è un grande problema culturale: molti
non fanno differenza tra un investimento attivo (che produce) o passivo
(consumo), così molti hanno venduto il proprio terreno per avere soldi subito,
e ora lo devono affittare da altri. Ora con il mondiale alle porte c’è il
rischio che la gente si venda chissà che per avere una tv. Qua tutti coltivano
mais: si raccoglie ogni sei mesi, sanno come farlo, e fine della storia. Però
il mais rende poco, e se il raccolto va male non si ha di che vivere per i
prossimi mesi. Pochissimi investono in coltivi magari più cari e che richiedono
più tempo ma che rendono molto di più (come il caffè). Con la crisi del
cardamomo, molti si sono ritrovati con un pugno di mosche dopo anni di guadagni
altissimi però bruciati. Da un lato si accontentano, dall’altro sanno che se va
male in qualche modo si fa, anche tramite i programmi sociali. Pensano che
siccome sono poveri devono essere aiutati, e questo pensavo sarebbe stato
diverso con la microfinanza. Secondo il report della Banca Mondiale sulla
povertà in Guatemala, uno dei motivi principali per la bassa scolarità è
“mancanza di interesse”.
Con questo non voglio assolutamente dire che i guatemaltechi
sono poveri perché se lo meritano, quasi il contrario: questo è spesso il
risultato di una politica di sviluppo sbagliata, di un dare per dare senza una
strategia sostenibile alle spalle. Qua, secondo il report, circa il 60%
dell’economia è informale: questo vuol (anche) dire che il governo non
raccoglie tasse, e quindi spende poco. La corruzione e la cattiva politica sono
senz’altro ragioni altrettanto rilevanti. Per non parlare di 30 anni di guerra civile e abusi e mattanze... Molta campagna si gioca proprio sui
“programmi sociali”: se si danno i soldi ai poveri, loro pensano che finalmente
il governo li stia aiutando, mentre ci sarebbe bisogno di investimenti massivi
in infrastrutture, in educazione, nello sviluppo di piccole-medie imprese che
generino occupazione. Facendo 10 figli a famiglia, hai voglia a disboscare
foreste per cercare terreni da coltivare. Per poi rimanere poveri comunque. La
microfinanza mi sembra che li aiuti a rimanere dove sono, ma nessuno dei
clienti che ho visto diventerà un piccolo imprenditore. Galleggiano.
Immagino anche che ci siano diversi accordi commerciali con
il Guatemala che probabilmente potrebbero essere migliorati, ma onestamente non
ne sono molto. Da un lato penso che la povertà in Europa sia molto più crudele
e senza pietà: forse è più difficile ritrovarsi poveri, ma se resti senza
niente, tornare a galla non è facile. Qui è una povertà di gruppo, di comunità,
condivisa, non c’è il poveraccio che chiede l’elemosina e dorme per strada –
per quanto ci sarà sicuramente nella capitale, io qua mi riferisco alla povertà
rurale. È una povertà cronica che è difficile da eradicare, e di sicuro non si cambierà
“regalando un vaccino a un bambino bisognoso”, per quanto il lavoro della
cooperazione sia encomiabile, ma disperatemene a breve termine. Non toglie l'odore di bruciato.
Diluvia ed è saltata la luce. Scrivo a lume di candela e gli
insetti notturni si accalcano sul mio schermo. Domani vado a vedere las
Conchas, poi proseguo per Rio Dulce. Se riesco nel weekend vado a vedere
Livingston.
Qua sotto i miei spostamenti fino adesso e i prossimi
previsti. Dove andrò dopo, lo scoprirò solo col tempo…
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