venerdì 24 agosto 2018

Normalità e comfort zone

Sono in India da tre settimane, e mi sembra di non avere niente da dire. 

Prima di partire ero convinta che l’India mi avrebbe stravolto, che non sarei stata capace di restarci per i due mesi del visto. Ero certa che sarebbe stata “troppo”: troppo casino, troppo sporca, troppo sofferenza. D’altronde, per quanto l’India sia sempre stata sulla mia lista di posti da vedere, non era certo in cima, nè mi sono mai interessata all’aspetto yoga e meditazione, per cui la stragrande maggioranza dei turisti è qua.
Invece non mi fa quasi nessun effetto, nel senso che mi sembra tutto così normale. Mi sono ambientata nel giro di qualche giorno: la magnifica terrazza della guest house, il ristorante all’angolo, il fruttivendolo, il negozietto sotto casa, un numero crescente di persone che vedo ogni giorno e che sono ormai personaggi ricorrenti delle mie giornate. La mia cameretta al primo sguardo mi sembrava spoglia e triste, ma è subito diventata il mio spartano angolo di pace, senza neanche un armadio o una mensola, ma da cui posso vedere l’alba da una finestra e il tramonto dall’altra. Ho girellato un minimo la città, e vado tutti i giorni al rifugio costeggiando il lago. È già routine. Persino le mucche, che nel tragitto aeroporto-albergo mi sembrano tante-troppe-ovunque!, sono subito diventate parte della normalità. Non capisco se ho ottime capacità di adattamento o se sono diventata insensibile all’ambiente esterno. Non c’è stato alcuno shock: stanchezza del primo giorno a parte, per il resto è stato tutto molto naturale. E lo dico quasi con malinconia: in altre situazioni – in Guatemala in primis – mi sembrava tutto una scoperta e sentivo il bisogno di raccontare tutto.

Ci ho riflettuto un po’ e ci sono sicuramente diversi fattori che spiegano la situazione, per lo meno due: 1. Udaipur è – a sentire tutti – una delle città più belle, tranquille e pulite dell’India; 2. Ho iniziato il volontariato subito, e quindi sono entrata immediatamente in un network di svago e sostegno. E appunto, di routine: sveglia, lavoro, casa, cena, letto. Anche in Guatemala, una volta terminato il periodo itinerante, tutto è diventato normalità. Immagino, quindi, che se fossi in altre zone dell’India viaggiando da sola sarebbe diverso.

Per questo non avevo ancora scritto niente, mi sembra di non avere niente da raccontare. E non ancora riesco a capire se è un bene o un male.


Comunque sia - tutto bene. Lavorare ad Animal Aid mi piace, anche se alcuni giorni mi lascia addosso un senso di frustrazione famigliare, che sembra seguirmi a migliaia di kilometri di distanza. Sembra di fare tanto, ma rimane quell'amaro di poter fare di più, di poter fare meglio.

Visto che in 3 settimane ho preso solo 2 giorni di vacanza, mi sono obbligata a fare un mini giro turistico di 4 giorni, per cui domenica prendo il bus e torno venerdì all'alba. Mi rendo conto che non sono per niente un solo traveller: se sono da sola non ho nessuna voglia di andare in giro. Però lo scopo di questi 3 mesi è anche spingersi fuori dalla comfort zone: siccome ci sono rientrata dopo un giorno di India, è bene che mi ci rispinga fuori. Quindi 6 ore di bus, letto in camerata, e sono sicura che quando rientrerò la mia piccola camera spartana mi sembrerà ancora più bella.

Ah, il 22 settembre parto per lo Sri Lanka fino al 16 ottobre, quando vado Bangkok. Vediamo se mi smuovo un po'.

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